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276 | l'istoria del concilio tridentino |
ai vescovi si fosse facilitato, in brevissimo tempo le proibizioni
sarebbono andate in niente, e li luterani averebbono guadagnata la loro opinione; anzi per questa causa fu inclinazione
quasi comune di decretare che nessun fosse dispensato dalle
proibizioni, se non per urgentissima causa; nel qual parere
entrarono anco quelli che non avevano ottenuto facoltá per li
vescovi, parendoli esser piú decoro episcopale, se quello che
a loro era vietato non fosse ad altri concesso. In fine di
molti discorsi nelle congregazioni fu risoluto di ristringere la
parentela spirituale, l’affinitá per li sponsali e per la fornicazione, e regolare anco le dispense tra li termini che si dirá
recitando li decreti.
Ebbe un poco di contrasto il nono capo, dove è proibito alli superiori di costringere li sudditi con minacce e pene a contraer matrimoni, il qual comprendeva anco specificatamente l’imperatore e li re. Fu opposto da Guielmo Cassador, vescovo di Barcellona, che non era da presupporre nelli principi grandi che s’intromettessero in matrimoni se non per gravissime cause e per ben pubblico; che le minacce e pene allora sono cattive, quando si adoperano contra l’ordine della legge, ma li precetti penali alla legge conformi esser giusti e non potersi riprendere. Se caso alcuno vi è, diceva egli, nel quale il superiore possa comandar un matrimonio giustamente, può anco constringer con mandato penale a celebrarlo: esser cosa decisa anco dai teologi che il timor giusto non causa azione involontaria. Voleva egli che le cause legittime fossero eccettuate, e che il decreto fosse formato sí che comprendesse solamente quelli che constringono contra il giusto e contra l’ordine della legge: poter occorrere molti casi in quali la necessitá del ben pubblico ricerchi che un matrimonio sia contratto, in quali sarebbe contra le leggi divine e umane dire che il principe non potesse e comandarlo e constringere a contraerlo. A questa ragione aggionse per esempio che del 1556 a’ 2 gennaro Paulo IV fece intimar un monitorio a donna Gioanna d’Aragona, moglie di Ascanio Colonna, che non maritasse alcuna delle figliuole senza licenza sua; e se altrimenti facesse, il ma-