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360 l'istoria del concilio tridentino


seguente ritornò e ricercò che fosse levata quell’eccezione, dicendo che la societá sua era per conservarsi perpetuamente nella pura mendicitá in le case professe, ma non si curava di averne quest’onor appresso il mondo; bastargli il merito appresso Dio, il qual sará tanto maggiore, quanto, potendosi valer dell’abilitá fatta dal concilio, non se ne valeranno mai. Questa deliberazione fu presa per comun resoluzione di tutti quattro li gesuiti che erano in concilio, proposta dal padre Torres, il qual disse che, cosí facendo, sarebbono stati in libertá di valersi o non valersi della concessione del concilio, secondo l’opportunitá.

Nel decimoquinto capo era statuito che la professione non si facesse inanzi diciotto anni finiti, e il noviziato durasse almeno due anni, in qualonque etá il novizio fosse entrato. A che tutti li generali si opposero, dicendo che non era giusto impedir l’ingresso della religione a nessuno capace di conoscer quello che li voti regolari importino; che questa capacitá era stata dalla Chiesa giudicata nel decimosesto anno in tempo che il mondo non era tanto svegliato; che ora piú tosto conveniva abbassar, che inalzar l’etá: la qual ragione adoperavano anco contra il biennio del noviziato. In fine, poiché s’attendeva a dar sodisfazione a tutti, deliberarono di sodisfar anco li generali e non innovar niente in questa parte.

Oltre li ventidue capi, un altro vi era, nel quale si concedeva alli provinciali, generali e capi degli ordini di poter scacciar fuori dell’ordine e privar dell’abito li incorriggibili; contra il quale Giovanni Antonio Fachinetto, vescovo di Nicastro, si oppose acremente, con dire che la professione e l’atto di admetter a quella sono un contratto scambievole e come un matrimonio, per quale il monasterio è ubbligato al professo e il professo al monasterio; e sí come questo non poteva partire, cosí quello non poteva scacciarlo; e che con quel decreto s’averebbe fatto sí che tutte le cittá sarebbono piene di frati espulsi, con scandolo grave del secolo. In contrario l’arcivescovo di Rossano diceva non esser la relazione che è tra il marito e moglie, ma quella che tra padre e figlio; e al figlio non esser mai lecito rifutar il padre, ma il padre poter enan-