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420 | l'istoria del concilio tridentino |
che, per usare la felice immagine del Teza, «due ondate sviano
la barca che verrebbe diritta da Toscana, la latina e la veneta».
Errore del De Dominis fu appunto quello di volere raddrizzar la
barca. Il Sarpi, sebbene entrato ormai nella grande corrente italiana, non ha potuto distruggere in sé l’eco di quel dialetto che
quotidianamente usava e che era ben piú che un dialetto, avendo
tutta una gloriosa tradizione ed un riconoscimento ufficiale nella
molteplice vita della Serenissima. Chi abbia l’orecchio esperto
della parlata veneziana, coglie subito nel dettato del nostro storico
come un naturale, inconfondibile riflesso di essa, coglie un ritmo
tutto particolare. Le modificazioni introdotte dal De Dominis non
solo non raggiungono lo scopo ch’egli si è proposto (sorte comune a tutti i correttori) ma distruggono la naturalezza, la spontaneitá, il ritmo di quella prosa. Possiamo aprire a piacere l’Istoria, anche nelle parti meno tormentate, e dal raffronto tra il
raffazzonamento londinese e il genuino dettato sarpiano apparirá
luminosa la veritá di quanto si è detto.
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Da quanto sono venuto esponendo risulta chiaro che, accingendomi alla ristampa dell 'Istoria, non mi restava che far capo al manoscritto marciano, il quale rappresenta fedelmente la intenzione dell’autore. Il Bianchi Giovini vuol vedere nel libro VIII una minore finitezza, una certa fretta a paragone degli altri. Non mi pare. Indubbiamente gli ultimi libri non sono cosí tormentati di correzioni come il primo, ma non si può parlare di trascurataggine o stanchezza: si direbbe piuttosto, anche dall’esame del manoscritto, che per gli ultimi libri la copiatura o dettatura sia avvenuta di sur un testo giá meglio definito e corretto. Per l’VIII in particolare, anziché di minor cura, si riporta l’impressione d’una maggiore rapiditá e scorrevolezza, appunto perché, come avverte l’autore, superate le maggiori difficoltá, gli avvenimenti nel concilio precipitano e lo storico può procedere piú spedito. La narrazione, lungi dal soffrirne, acquista di efficacia e di vita. Soggiungerò che assai probabilmente era intenzione del Sarpi di condurre la narrazione piú oltre, trattando anche degli avvenimenti posteriori alla fine del concilio ma ad esso strettamente collegati, metodo seguito, si può dire, da tutti gli storici del
concilio tridentino. Può esserne indizio il fatto che l’autore ac-