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lettere di fra paolo sarpi. 59


Alli signori Gillot e Leschassier, scrivendo per altro, faccio le debite grazie; a questo per il codice Magontino, a quello per la raccolta dei Contratti. Del libro del re d’Inghilterra io faccio il medesimo giudizio che V. S.; e parmi di poter dire, che siccome il letterato non maneggia armi con frutto, così io.1

La canonizzazione del padre Ignazio2 è dovere che sia procurata dal re, atteso che sarà un canonizzare la possessione del regno di Navarra, difeso da quel buon padre a favore della scomunica di Giulio II. Con difficoltà crederò ch’egli intenda la lettera, quale insegna che non può stare amicizia dove un solo sia ingannatore, ma dove due. Che sarà? Non posso dire se non che in alcune lingue due negazioni affermano, in altre negano maggiormente, e però resta a vedere che lingua usino fra loro. Ci vuole un grande Edipo.

Le cose di Giuliers danno qualche materia di ragionamento qui, ma poca per la lontananza. Il palatino di Neumbourg ha mandato un suo gentiluomo a dar conto delle ragioni sue a molti principi d’Italia, ed a questa Repubblica ancora. A questo siamo poco attenti: non occorre dubitarne. Non mi allungherò più per non attediarla.

Di Venezia, il 13 maggio 1608.




  1. Sospettiamo essersi qui mal compreso il manoscritto, e che dovrebbe piuttosto leggersi: così ec., e interpretarsi la reticenza: così un re non maneggia con frutto la penna. Sembra, poi, qui alludersi alla risposta che il teologante Giacomo I aveva fatto al cardinale Bellarmino, che contro lui aveva scritto, col falso nome di Mattias Tortus. E lo spiritoso re intitolava la sua replica Tortura Torti; od anche Triplici nodo triplex cuneus (Londra, 1607).
  2. Parlasi del Loyola, che nè anche allora fu sollevato all’onor degli altari, ma solo nel 1622.