conta non fa meditare. L’essenza dello stile matematico sta nel presentare chiari, evidenti, finiti i concetti secondo la genesi e lo svolgimento loro, senz’aiuto, o poco, d’immagini e di colori; e dove han luogo gli affetti, hanno a nascere anzi dalla grandezza e dalla lor verità pôrta innanzi agli occhi dell’intelletto, che dall’arte o dallo studio dello scrittore. Per vedere che differenza sia tra lo stile matematico e l’ornato e lo scarno, poni a raffronto di Pascal l’eloquentissimo Bossuet o il buon Nicole; e forse troverai più metafore e tropi anco in quest’ultimo che in Pascal, e anche in Bossuet qualche volta, con lo splendore dell’eloquenza che abbaglia, l’à peu près; ma in Pascal non mai, che dice sempre quel che vuol dire e quando l’ha a dire. L’integrità del concetto, il lucido ordine e la precisione delle parole fanno lo stile matematico. Per l’ultimo rispetto, il Sarpi è inferiore agli altri due che ho mentovati, e nell’Epistole più assai che nella Storia. Giulio Cesare ha una lingua scultoria, o vogliamo dire di cose, com’era la latina, e racconta con essa grandissime imprese. Biagio Pascal avea la francese a maneggiare, lingua cioè tutta fissata e netta. Il Sarpi, al contrario, non poteva adoperare una lingua sua propria, chè agli studi letterari poco avea atteso; ma mutava nella forma italiana corrente, o in un latino zeppo di scolasticismi, il suo dialetto natío: come altresì faceva il Bruno, i cui scritti arieggiano di napoletano, anche nelle più sublimi meditazioni filosofiche. Pur crediamo che la perspicuità