Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/156

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96 lettere di fra paolo sarpi.

quali possino essere nel tempo futuro le massime con quali ora si governa, purchè servano all’ozio presente. Non è già che non si desideri sicurtà maggiore di quella che si gode, purchè potesse venir senza nissun sospetto; e non so anco, se tale fosse facilmente ricevuta, che non fusse rifiutata sotto titolo di novità.

Insomma, qui si vive con esempi, non con ragione. Lo spagnuolo già tanti decennii d’anni è restato in Italia quieto. Se per l’avvenire debba continuare nella stessa maniera, è problema: è pur verisimile che operi come ha già operato; pur anco probabile che vogli veder l’altra fortuna: ognuno crederà secondo il suo affetto; noi, desiderosi di quiete, fermiamo qui la nostra credenza.

Delli Stati e del loro valore ho onorevolissima opinione; non però senza timore che le arti e la costanza delli loro nemici non li riducano in qualche mala condizione. Nè la speranza nelli vicini è tanta, che contrappesi questa dubitazione: non tutti però hanno questa opinione, perchè le cose lontane pajono sempre più picciole.

Li avvisi che V.S. dà al signor Molino, e quelli che aggiunge nella mia, intorno don Pietro di Toledo, sono conformi ad altri che vengono di costà, e tutti mostrano che le arti sono bene conosciute. Con tutto ciò, io credo ch’egli abbia altre cose da negoziare col re, e molto più con altri personaggi; nè mi posso credere che dove hanno le mani così gran maestri come li Gesuiti, possi restar l’opera senza frutto. Vero è che Dio rende pazza la sapienza mondana, ma noi non sappiamo se il presente sii il tempo del suo beneplacito.