Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/179

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lettere di fra paolo sarpi. 119

Egli vorrà poi far un’epistola, narrando d’essere stato pregato: il che potrebbe partorire non solo disgusti, ma anche travagli, quando le cose passassero que’ termini che paiono adesso onesti; come temo che possano essere le considerazioni della prima parte, che gli ecclesiastici non possono possedere beni stabili. Ma questa è una cosa da rimettere al tempo.

Ho gran timore intorno le cose olandesi, che, fingendo Francia saviamente, non sia causa di farle fare daddovero. Alle volte i molto savi danno in questo disordine; che, fingendo di persuadere, usano tant’arte, che persuadono contro lor proprio volere. Sciampignì è molto sollecito, e dice che, attesa la volubilità di Savoia, non bisogna aspettarla al convito, ma solo lasciarle il luogo; ch’essa, spinta poi dalla fame, ci verrebbe. Fra Paolo gli ha fatto rispondere, essere necessario che, prima Savoia1 accetti, egli veda l’invito dell’ambasciadore spagnuolo, che sino al presente dura. A questo Sciampignì è restato. Egli crede che quei del Collegio inclinino, ed io lo lascio in quest’opinione, sebbene reputo che non sarà altro.

La città è stata molto occupata nel ricevere la


    che il primo potesse esser quello di cui parlasi in queste Lettere; ma troppo è chiaro per altri passi delle medesime, trattarsi invece di Francesco, e come tra le virtù di quest’ultimo, potesse desiderarsi quella del disinteresse. Essendo venuto a notizia della Repubblica ch’egli avesse composto un trattato da poterle riuscir utile nelle controversie allora pendenti colla corte di Roma, se ne desiderava in Venezia la pubblicazione; ma sembra che a ciò il Pithou si rendesse difficile, per cavare dalle sue dotte fatiche (serbate, bensì, le apparenze) il maggior frutto che gli fosse stato possibile.

  1. Così nella prima edizione, e sembra da intendersi come: prima che.