Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/238

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178 lettere di fra paolo sarpi.

guardavano a reverenza del sacro luogo, e ne venivano spesso casi di scompiglio e di sangue. Per lo che, il magistrato che deve aver cura della pubblica tranquillità, divietò questi sacri esercizi in tempo di notte, e comandò che sul primo imbrunire si chiudessero i templi. E il papa a gridare che ciò è contrario alla libertà ecclesiastica, e che il magistrato è incappato nella scomunica; commendando, a vero dire, la materia dell’editto, ma riprovandolo solo per l’ardimento in che vengono i laici di comandare ai preti; e fino a lasciarsi scappar di bocca queste precise parole: — che vuol resistere alla proibizione, acciò che Fra Paolo non dica che, per tolleranza del pontefice, i secolari entrano su ciò in acquisto di dritto. — Oh la bella libertà! Rispetto a profanazioni di chiese, licenziategli a levare abusi, e non ci pensano: pigliatene briga da per voi, e vi legan le mani. Ma gridi a sua posta; il decreto starà. Mi resta ancora ad aver contezza di più particolari sulle costumanze vostre; ma le rimando al prossimo corriere.

Quanto a vicende politiche, dirò che Orbec, il più gran principe maomettano che ha dominio di là dalla Persia su quei popoli che, pei lor negri turbanti, chiamano Geselbi, venuto alle mani col re dei Persiani, ne sbaragliò talmente le truppe, da quasi distruggerle, propagando l’imperio su molte regioni. Quantunque ciò si veda bene dai Turchi, che grandi noie a’ confini riportavano dal Persiano, non però patiranno essi che sia affatto annientato, per non dare in vicino signore più dell’altro temibile, non foss’altro perchè risiede a Sarmarcanda, donde uscì Tamerlano, nome d’infausta ricordanza