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lettere di fra paolo sarpi. 233

LXIX. — A Giacomo Gillot.1


Se briciolo di libertà noi abbiamo o ci rivendichiamo in Italia, è tutto merito della Francia. E a resistere a una sfrenata signoria voi c’insegnaste, e ce ne metteste a nudo i misteri. Un tempo i nostri padri s’aveano per una razza nobilissima, quando Germania e altri preclari regni servivano; ed essi furono stromento all’altrui servaggio. Poi che quelli, scosso il giogo, aggiunsero a libertà, tutto il peso dell’oppressione si scaricò addosso a noi. E come avremmo noi senza il vostro soccorso osato fiatare contro di ciò che avevano sanzionato i nostri antenati? Ma il Ciel volesse che noi potessimo cavar profitto di tutti i vostri preservativi!

A nulla io penso più spesso, che al mezzo e modo di metter su il vostro appello ab abusu;2 il quale anche appresso di voi non parmi d’assai antica data. Costumavate nei primi secoli appellare al futuro Concilio; rischiosissimo rimedio: ma cotesto di che vi valete ora, è sicuro, pronto, e porta al termine che il supremo potere di stabilire la disciplina ecclesiastica risegga nel principe. E come no, se a lui tocca infrenare gli abusi dei cherici, e segnar le norme a bene usare dell’autorità della Chiesa? Scartate questo principio, e niun civile governo starà; perchè, se ci ha alcuna cosa che alla


  1. Edita in latino, le Opere dell’Autore; ediz, cit., pag. 4.
  2. Veggasi la sapienza legislativa di questo frate. Il voto dell’appello ab abusu fu satisfatto per le leggi Leopoldine in Toscana.