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lettere di fra paolo sarpi. 239

fede in Dio, la speranza, i doveri di ciascheduno e la lettura delle scritture. A Roma cantan sul serio, che appoggiarsi alla Bibbia è lo stesso che distruggere il cattolicismo. Per avere lo stesso Fulgenzio affermato che il potere si fonda sulle divine sanzioni, e che quegli il quale lo tiene con fedeltà è ben accetto al Signore e degno di riconoscenza; dove che il principe o il giudice, disertando il posto per attendere a pellegrinaggi o preci di chiesa, incontra il celeste disfavore; ha mosso un vespaio da non si dire. Su di che ho intrattenuto un po’ à lungo la S.V. per deporre in seno di un amico le nostre amarezze.

Vere le novelle sui lacci tésimi; e pur la S.V. non fu ragguagliata di tutto. Ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo. Io son fermo a non curare tutte queste miserie. Niuno sa ben vivere, il quale pensa troppo a vivere. Si dee morir finalmente una volta; cercar del giorno, luogo o modo, poco importa. Tutto è bene che piace a Dio.

Sui casi esposti alla S.V. dell’ucciso Tribuno, occorse esagerazione. Ecco come andò la cosa. Fulvio facchino, di Rieti, ammazzò un suo concittadino che odiava. I figli del morto ottennero un breve da Clemente VIII, nel quale il papa dichiara che a loro e qualsivoglia altro è permesso in buona coscienza, dovunque e per ogni guisa anche estragiudiziale, causargli rovina e morte. Questo breve si divulgò, con iscandalo di moltissimi; e, come incontra, ci fecero la frangia, che s’impartisse indulgenza plenaria agli uccisori: lo che in esso non è specificato, asserendosi solamente che quell’azione poteva compiersi in buona coscienza e fuor d’ogni