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lettere di fra paolo sarpi. 289

rente del pontefice, per aver detto che si doveva incominciare quella giustizia dal palazzo, è stato ritenuto in Castello, senza rispetto di parentado.

V.S. m’ha reso attonito, accennandomi che si studi qualche congiura.1 Prego Dio che si scopra ed apra gli occhi di chi regge la nave. Non posso però ben restare di dire, che anche noi non siamo sicuri da queste trame; e tanto meno di voi, quanto noi siamo minati con pretesti di religione, ed altri che tengono dello specioso.

Di Venezia, il 18 agosto 1609.




LXXXVIII. — A Giacomo Leschassier.2


Le sue lettere del 14 mi liberarono da una gravissima afflizione. Quantunque il signor Castrino mi avvisasse pel corriere antecedente, che la S.V. aveva racquistata la sanità, stavo in pensiero pel timore d’una recidiva. Ora, vedendo da un suo chirografo ch’Ella è tornata in salute, ne ringrazio Dio ottimo massimo.

Graditissime mi riuscirono le chiose d’aggiunta alla formola; ma gravi ingerenze m’impedirono di leggerle. La lite sul monastero di Camaldoli si comporrà per transazione; e in questo è tutto il mio studio. Ciò che V.S. me ne scrive, parmi s’appoggi a poderosissime e salde basi. Ma il ciel volesse che in tali faccende s’accampasse il dritto solo! Vi si mescolano ragioni private, odii, invidie e altrettali pesti


  1. Accennasi alle congiure permanenti, e quando più quando meno manifeste, contro la vita di Enrico IV.
  2. Tra le edite in lingua latina, tom. cit., pag. 59.
Sarpi. 19