Pagina:Sarpi - Lettere, vol.1, Barbèra, 1863.djvu/35

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fra paolo sarpi. xxvii

rebbe, come allora, mutar la religione in una setta che sacrificasse la libertà e la civiltà, e ogni altro bene al papa e all’utile dell’imperio di quello. Se lo spirito cattolico è cotale spirito di setta arcigna e odiatrice della luce, Sarpi per certo era intinto di eresia; ma i Cattolici allora si restringono a pochi lucifugi, e non meritano che di essere svertati e passar oltre. Quel che dice il Sarpi a Duplessis Mornay e agli altri, si riduce a notare i vantaggi che sarebbero venuti all’Italia, massime per por modo all’onnipotenza papale e spagnuola, dalla tolleranza della libera professione del protestantesimo, e i vantaggi che venivano alla Francia e all’Europa dall’influenza politica degli Ugonotti. L’ulcera che guastava l’Italia era l’ipocrisia: ipocrisia non era nella Religione, voglio dire tra i Protestanti in Francia; chè già giovava sentir la messa come avea fatto il re: e se i Protestanti peccavano nei dogmi, della qual cosa Fra Paolo non ha luogo a parlar nelle Lettere, i Papisti peccavano nell’abuso dell’autorità; il che agli occhi del Sarpi e della ragione era molto più grave, torcendosi perciò la religione a fariseismo. La frase più grave a proposito di ciò, è quella che trovasi nella lettera CCLI della nostra edizione: «Non crederò che mai si faccia mutazione di Stato se non si fa di religione.» Codesta frase dal contesto della lettera si spiega, come le altrettali: che bisognava far la guerra in Italia a Spagna e a Roma ad un’ora, e introdurre anche in Italia la tolleranza religiosa, con le amistà politiche che re-