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lettere di fra paolo sarpi. | 21 |
porali. Quando il papa vorrà alcuna cosa, dirà che è spirituale; come succede nella controversia presente, perchè Vostra Serenità dice di aver fatte leggi di cose temporali, e il papa dice che sono di cose spirituali. Confessa egli che vuol lasciare il temporale, ma ritiene questo per spirituale. Eccoci però a capo. Se dobbiamo averlo per supremo giudice, abbiamo da credere a lui, quando determina (come al presente lo fa) che alcuna cosa sia spirituale: torna, dunque, che non ci resta se non di obbedirlo in tutte le cose che gli verranno in pensiero. Se vien detto che si può resistere de facto, lo consento; ma mi par bene che appartenga alla sapienza di Cristo nostro Signore l’aver provveduto maniera di eseguirlo piuttosto de jure che de facto, siccome ha proceduto dando la suprema potestà alla Chiesa: Si non audierit, dic Ecclesiæ; si autem Ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus. Del resto, siccome il papa ha comandato sotto pena di scomunica di non appellare da lui, così se comandasse di non aver ardire di replicarci sotto pena di scomunica, tanto dovremo confessarci obbligati a quello quanto a questo, e anderemo via via divenendo rei. Dirò bene senza dubbio, che nella loro immensa potestà si contengono i papi con qualche limite più per timore che l’Italia e la Spagna mettano in campo le dottrine della superiorità del Concilio ricevute in Francia e in Alemagna, che per qualsivoglia altro riguardo. E se mai potran egli uscire da questi pericoli, il mondo vedrà se si contenteranno di stare in termini di sorte alcuna.
Quarto, finalmente, cioè che il papa debba irritarsi, facendosi l’appellazione, a pubblicare un’altra