Pagina:Satire (Orazio).djvu/58

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O se ti senti da vaghezza spinto
A compor versi, e tu del nostro invitto
15Cesare prendi a celebrar le imprese;
E larga avran mercè le tue fatiche.
Or. O mio buon padre, le mie forze pari
Non sono al buon voler. Nè qualsivoglia
Lingua basta a narrar di lancia armate
20Torme spiranti orrore, e i Galli spenti
Da frecce infrante ne’ lor corpi, e carchi
Di piaghe, e da caval balzati i Parti.
Treb. Tu almen potresti l’equità, il valore
Di lui cantar, qual già cantò di Scipio
25L’assennato Lucilio. Or. Al dover mio
Non mancherò, quando mi vegna il destro.
Fuorchè in buon punto non andran miei versi
Di Cesare a tentar le accorte orecchie;
Che se tu mal lo palpi, egli securo
30In sua virtù ricalcitrando freme.
Treb. Questo è poi meglio che insultar co’ versi
Pantolabo buffone e Nomentano
Scialaquatore. Ognun, benchè non tocco
Dalla tua lingua, ti paventa e t’odia.
35Or. Che dunque dovrò far? Milonio balla,
Tosto che il vino co’ suoi fumi al capo