Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/176

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120 capitolo ventiduesimo


Mentre Eumolpione parlava segretamente a Bargate, entrò nella locanda un trombetta con un sergente pubblico101 insieme ad altra gente non poca, il quale scotendo una sua torcia che mandava più fumo che fiamma, così proclamò:


SI È SMARRITO POCO FA NE' BAGNI

UN RAGAZZO DI CIRCA DICIOTT’ANNI,

COI CAPEGLI RICCI,

DELICATO, AVVENENTE,

E SI CHIAMA GITONE:

SE ALCUN LO VUOLE O CONSEGNARE

O INDICAR DOVE STIA,

AVRÀ UNA MANCIA

DI MILLE NUMMI.


Poco lungi dal Banditore stava Ascilto con un abito cangiante, tenendo entro un bacinetto d’argento il regalo promesso.

Io ordinai a Gitone di nascondersi sotto il letto, intralciando le mani e i piedi nelle cinghie che sostengono i materazzi, onde distesovi sotto come già fece Ulisse nascosto sotto il ventre del montone,102 eluder potesse le mani de’ perquisitori.

Ubbidì Gitone senza ritardo, e in un momento attaccossi alle cinghie, vincendo l’astuzia di Ulisse nel caso medesimo. Io per non dar luogo a’ sospetti misi le mie vesti sul letto, figurandovi il nicchio di un uomo della mia statura.

Ascilto infrattanto com’ebbe scosse tutte le camere col banditore, arrivò alla mia, e quivi la sua speranza si accrebbe, per aver trovato l’uscio assai ben chiuso. Il messo pubblico, introducendo la scure103 nella commessura, aprì agevolmente.

Io mi buttai a’ piedi di Ascilto, e in nome della an-