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Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/180

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CAPITOLO VENTESIMOTERZO

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navigazione, e comitiva inaspettata.



Ancor parlava quando la porta fu con frastuono rispinta, e comparve sull’uscio un marinaio con orrida barba, il qual disse: E pur ti trattieni, Eumolpione, come se non sapessi ch’egli è quasi giorno?

Noi tosto ci alzammo, ed Eumolpione fece sortir col fagotto il suo famiglio, che avea dormito fin allora: io con Gitone raffazzonai tutte le cose mie in un sacco, e dopo aver adorati gli astri me ne entrai nel naviglio.

Scegliemmo un luogo isolato verso il pian della poppa, e non anche il giorno era sorto che Eumolpione dormigliava: ma nè io, nè Gitone potemmo pur chiuder occhio. Io era in un affannoso sospetto per aver meco Eumolpione, rivale più formidabil di Ascilto, locchè mi affliggea grandemente. Ma la ragione vincendo il dolore, io dissi tra me: egli è un fastidio che questo ragazzo piaccia a costui, ma che perciò? forse non dev’esser comune ciò che di ottimo fece la Natura? A tutti risplende il sole; la luna da innumerevoli stelle accompagnata persin le bestie a pascolarsi dirige. Cosa può dirsi più bella dell’acqua? pure la scorre pubblicamente. Amor dunque soltanto sarà un furto anzi che un premio? Or io non voglio più aver altri beni fuor di quelli che siano invidiati dalla moltitu-