Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/181

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navigazione, e comitiva inaspettata 125

dine. Nè questo rancido vecchio può darmi gran fastidio, perchè se anche qualche faccenda tentasse, mancherebbegli il fiato e l’impresa.

Come in questa fiducia mi racchetai ingannando l’animo mio diffidente, copertomi il capo col mantelletto finsi di prender sonno; quando tutto ad un tratto, quasi che la fortuna distrugger volesse il mio proponimento udii gemere questa voce sul ripian della poppa: Ei mi ha dunque deluso? E questa, che era voce d’uomo, e assai conosciuta alle mie orecchie, scosse il mio sen palpitante. Dipoi una donna da pari sdegno alterata proruppe in quest’altre parole, dicendo: oh se alcun Dio rimettesse Gitone in mia mano, come saprei ben accoglierlo il banditello!

Colpiti da queste inaspettate voci, sentimmo ciascun di noi raggrupparcisi il sangue. Io soprattutto, come oppresso da un sogno spaventoso, tardi ricovrata la voce, con man tremante tirai per la veste Eumolpione, che pur cadeva del sonno, e sì gli dissi: o padre, puoi tu dirmi, per dio di chi è questa nave, o almen chi trasporti? Egli inquietatosi ebbe a male di esser destato, e rispose: ti è dunque piaciuto che occupassimo sul cassero della nave questo luogo segretissimo, per poi impedirne il riposo? Cosa gioverebbe il dirti che ci è padrone Lica di Taranto, e che porta a Taranto la viaggiatrice Trifena?

Stordito da questo fulmine un tremore mi prese, e scopertomi il gorgozzule; O fortuna, sclamai, tu mi hai pur vinto del tutto. E Giton parimenti steso sul mio petto fu quasi per morire, ma lo sparso sudore richiamandoci a vita io abbracciai le ginocchia ad Eumolpione, e misericordia, gli dissi, di noi agonizzanti: ponci tu la tua mano per quello amore che entrambi c’infiamma. La morte ci sovrasta, la quale, se non puoi tu trattenere, può pur esserci un premio.

Attonito Eumolpione a siffatta condoglianza giurò