Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/189

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processo, guerra, e trattato di pace 133


Lica, il qual mi conobbe benissimo, accorse egli pure come se avesse udita la voce mia: e non guardommi nè alle mani, nè al viso, ma tosto chinati gli occhi a’ miei lombi, distese galantemente la mano, e mi disse: buon giorno, Encolpo.

Ora chi più si maraviglierà che una balia dopo ventanni riconoscesse una cicatrice,109 di cui sapea la cagione, poichè quest’uomo sagacissimo, malgrado la confusione di tutti i delineamenti del corpo e della fisonomia arrivò sì abilmente a conoscere un fuggitivo con questo solo argomento? Trifena piangea, ingannata dall’apparenza del castigo, perchè veraci credea le incisioni impresse sulla faccia degli arrestati e diessi a interrogar sottovoce in qual prigione ci tenesse chiusi cammin facendo, e quali sì barbare mani infligger potessero sì gran supplicio? Ben però meritarsi alcuna pena cotai disertori che i di lei beneficj avean disprezzato.

Lica saltò su pien di collera dicendo: sciocca femminella tu sei! come se queste lettere fossero ben addentro stampate in quei tagli! Così avesser costoro questa infamia scolpita sulla fronte! noi ne avremmo un piacer sommo. Ma noi siam delusi con artificj da scena, e ingannati da mentita bollatura.

Trifena, la qual non erasi affatto dimenticata degli avutisi godimenti volea, che si perdonasse, ma Lica ancor sovvenendosi della moglie sedotta e delle ingiurie ricevute sotto i portici di Ercole, con volto burbero impetuosamente gridò: io credo, o Trifena che tu debba esserti avveduta che gl’Iddii immortali si danno pensiero delle cose di quaggiù, dappoichè hanno indotto nella nostra nave questi spensierati monelli, e della loro sceleraggine ci avvertirono con sogni conformi. Vedi ora se giovi che a costoro si perdoni, i quali Giove stesso ha trascinati al castigo. Rispetto a me io non sono un crudele, ma temerei che sopra di me ricadesse la pena ad essi risparmiata.