Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/221

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arte poetica. poemetto, ecc. 165

Agli inerenti fiumi. Eppur non vinto
290Fu Cesare perciò, ma i luoghi orrendi
Franco rompea su lunga asta appoggiato,
Come d’Amfitrion l’audace figlio
Giù dal Caucaso scese, e al par di Giove
Il dì che bieco negli sguardi a tergo
295Lasciò la somma dell’Olimpo vetta,
E venne a dissipar gli strali insani
De’ figli della terra a cui diè morte.

    L’agile fama spaventata intanto
L’ale dispiega, e vola ove s’innalza
300Verso le nubi il palatino colle,
E al sorpreso Roman tant’oste annunzia.
Armate navi galleggiar sul mare,
Formicolar su tutte l’Alpi schiere
Ancor macchiate del tedesco sangue,
305Dice, e l’armi già sembra, e le ferite
E le stragi e gli incendj, e della guerra
Tutti i mali vedere. Impetuoso
E atterrito del par tra’ i due partiti
Palpita il cor ne’ petti. E come allora135
310Che dall’alto imperversa austro furente
Ed iscompiglia i combattuti flutti,
Nè più giova ai nocchier prudenza ed arte,
E l’uno i pini fortemente annoda,
L’altro un golfo rintraccia ove sicuri
315Sieno i lidi e tranquilli, e un altro al vento
Spiega le vele, e s’abbandona al caso:
Tal nella fuga sol Roma confida,
E i Quiriti abbattuti a quel frastuono
Le desolate case e i vecchi padri
320Lasciansi indietro, e al faticar non usa
La robustezza giovenil ciò solo
Che più preme al suo cor seco si reca.
Chi mal accorto ogni aver suo trasporta,