Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/238

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182 capitolo trentesimo

i proprii occhi puniscono, come se ascoltassero, i podagrosi maledicono i loro piedi, i chiragrosi le mani, i lippi gli occhi e coloro che si fan male ai diti, ogni volta che ne sentono il dolore, se la piglian co’ piedi.


    A che, o Catoni, con rugosa fronte
Mi sogguardate, condannando un tratto
Di non comun semplicità? Diletta
Certa avvenenza del parlar sincero,
5E ingenua lingua ciò che il popol opra
Narra fedele. Or chi di Vener mai
Gli annodamenti ed i piaceri ignora?
Chi vieta mai, che nel tepor di un letto
Si riscaldin le membra? E ciò prescrisse
10Il gran padre del ver dotto Epicuro,
Tal dicendo gli Iddii vita condurre.


Nulla è dunque più falso delle sciocche ostinazioni degli uomini, e nulla più sciocco di una bugiarda austerità.

Terminata questa declamazione, chiamai Gitone, e gli dissi: raccontami, o caro, ma con ischiettezza; in quella notte, che Ascilto mi ti rapì, stette egli desto sin che fu soddisfatto, o rimase pago di passarla vedova e pudica? Il fanciullo toccandosi gli occhi giurò chiarissimamente che Ascilto non gli usò forza veruna.