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Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/240

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184 capitolo trentesimoprimo

    Tutto il mio corpo a inutil prova esposi
    Sol mezzo è reo chi per bisogno pecca.
    15Deh tu il mio cor per queste preci allieva,
    E la leggiera mia colpa perdona.
    Se l’ora suoni a me della fortuna,
    Non senza onore i’ lascerò ’l tuo culto
    Monton cornuto delle agnelle padre,
    20E di querula troia il figlio, svelto
    Dalla poppa materna, ostie cadranno,
    O Dio, sull’are tue. Di vecchio vino
    Spumeranno le tazze, e intorno intorno
    Al tempio tuo la gioventù vivace
    25Tripudiando girerà tre volte.


Intanto che io orava, e premurosamente teneva d’occhio al mio moribondo, la vecchierella entrò nel tempio coi capegli rabbuffati, e con veste nera che spaventava, e afferratomi fuori del vestibolo mi strascinò tutto tremante e mi disse: quali streghe hanno divorato i tuoi nervi? o quali mondiglie o qual cadavere hai tu di notte pestato ne’ trivi?148 Nè già ti sei rifatto sul tuo mignone, ma languido, debole, affaticato, come un cavallo che arrampica, hai gittato l’opera ed il sudore, e non contento della tua propria mancanza, hai contra me eccitato lo sdegno degli Dei. Ora non ti castigherò io?

Dipoi, senza che io mi opponessi, ella mi fe’ rientrare nella cella sacerdotale, mi rovesciò sur un letto, e staccata dall’uscio una canna, diemmene un buon carpiccio, ed io mi tacea. Che se la canna rottasi al primo colpo non avesse minorata la veemenza delle battiture, costei forse mi avrebbe fracassate le braccia ed il capo.

Io n’era afflittissimo, anche per la noia delle sue manipolazioni, e cadendomi in abbondanza le lagrime, copertami la faccia colla man destra mi abbandonai sul cuscino. Ella egualmente singhiozzando si assise dall’al-