Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/251

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fine della favola 195

che io farei bene trovare una scusa qualunque, che valesse; poichè era quasi impossibile che si mitigasse tant’ira senza una flagellazione.

Turbato di bel nuovo ed afflitto mi rivolsi a Gitone, acciò nulla mi dicesse della donna: diffatti egli non parlò di Eumolpione, suggerendomi che secolui facessi viso allegro, anzichè sostenuto. Così feci, e ad esso mi presentai con faccia sì gaia, ch’ei non bruscamente, ma con gentilezza mi accolse, e scherzò meco delle mie amorose fortune, e lodò la mia avvenenza e attillatura in pregio a tutte le donne, e dissemi: non ignoro che di te spasima una delle più belle, e ciò, soggiunse, or potrebbe in questo luogo giovarci, o Encolpo: sostieni tu dunque la parte di drudo, ed io sosterrò quella che ho intrapresa.

Stavamo tuttavia chiaccherando allorchè entrò una delle più savie matrone del paese, per nome Filomena, la quale ne’ suoi bei giorni avea carpite molte eredità, e che allora vecchia e brutta introduceva per le case de’ vecchi celibi un suo figlio ed una sua figlia, per mezzo de’ quali ella continuava quel suo artifizio. Ella dunque presentossi ad Eumolpione raccomandando alla di lui prudenza i suoi figli, e sè e le sue speranze confidando nella di lui bontà. Disse esser egli il solo in tutto il mondo, che oggi sapesse allevare la gioventù con dottrina ancor sana, e ch’ella insomma lasciava i figli suoi in casa Eumolpione, perchè lo udissero parlare, locchè era la sola eredità che a que’ giovani potea lasciare. Nè altrimenti fece di quel che disse, perchè lasciògli in camera una ragazza bellissima con un fratel giovinetto, e finse di andarsene al tempio a far sue preci.

Eumolpione, il qual era sì castigato, che io persino gli parea tuttora bardassa, non tardò ad invitar la fanciulla ad un sacrificio a Venere. Ma avendo egli detto d’essere podagroso e tutto sciancato ne’ lombi, se non