Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/252

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196 capitolo trentesimosecondo

perseverava costantemente questa finzione, andava a pericolo di rovesciar tutto il dramma. Perciò, onde accreditare la sua menzogna, pregò la fanciulla a sedere sopra di lui adagiato, e ordinò a Corace di stendersi sotto il letto, ov’egli giacea, e appoggiando le mani contro il pavimento sommovesse co’suoi reni il padrone. Costui ubbidì gentilmente al comando, soddisfacendo con pari contraccolpi l’abilità della fanciulla; e quando la cosa s’avvicinava al suo termine, Eumolpione alzata la testa esortò Corace a movere più lesto: nel qual modo il vecchio situato tra il servidore e la bella parea che giuocasse all’altalena.

Una e due volte Eumolpione eseguì con grandissimo riso anche suo questa faccenda. Ond’io per non perdere eziando le buone usanze, mentre il fratello guatava per una fenditura il meccanismo di sua sorella, me gli approssimai per tentare se resisteva alla prova. Questo bravissimo ragazzo non ritirossi alle mie carezze, ma qui pure trovai nemico il nume.

La presente fiacchezza non mi afflisse tanto, quanto le anteriori; oltr’a ciò mi ricomparvero poco dopo i nervi, e sentendomi in quell’istante vigoroso sclamai: I Dei di prim’ordine mi hanno restituito alla mia integrità, ed è Mercurio, cui la partenza ed il ritorno delle anime è confidato, che mi ha per sua grazia reso ciò che tolto mi avea una mano atroce, onde io sarò ora più accetto che non fu Protesilao, o altro qual vogliasi antico.

Dopo ciò mi rialzai la tonica e mi palesai tutto intero ad Eumolpione, il quale a prima vista inorridì, indi, per meglio accertarsi, volle a due mani abbrancare quella grazia di dio.

Un tanto beneficio avendoci messo dì buon umore, ci diemmo a ridere della prudenza di Filomena, e della pratica, che avean del mestiere i di lei figli, i quali rispetto a noi non avevano di che migliorare, giacchè