Pagina:Satire di Tito Petronio Arbitro.djvu/31

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legge. Egli non assume giammai il tuono sublime, salvo che nel poemetto sulla Guerra Civile. Dal quale bensì comprende che in quel modo ch’egli è graziosissimo ne’ piccioli epigrammi di sapor catulliano, e di argomento amoroso e galante, così convinto che ne’ grandi argomenti è indispensabile quell’

Os magna sonaturum


di Orazio, vi si manifesta abilissimo.

In aggiunta poi al merito morale comune a tutti gli scritti satirici, che è quello di svergognare il vizio, ovunque si trovi, onde gli uomini se ne guardino, merito in quest’opera grandissimo, perchè di più vizj, e difetti di ogni genere va mostrando l’immagine, ha quello altresì d’istruirci di varie usanze, pratiche, e forme del viver sociale, le quali o furon credute di posteriore invenzione, o per la simiglianza che hanno con alcune de’ tempi nostri, inducono maggior interesse. Veggonvisi, per esempio, certe magistrature di campagna, certe istituzioni di buon governo rassomiglianti a quella della Polizia odierna, certe leggi marinaresche, alcuni giochi, ed una specie di lotto fra questi, e cento altre cose, che è piacevole di saperle praticate dagli antichi avi nostri, ai quali noi remotissimi discendenti professiamo sì alta estimazione.

Quanto alla lingua di Petronio, alcuni lo accusano di aver usato parole vili, inusitate, e non prima ammesse da buono scrittore. A ciò prima di tutto può rispondersi esser egli il primo buono scrittore che le usasse, e quindi dal suo esempio essere divenute buone quelle parole, come buone divennero tutte le altre, di mano in mano che i buoni scrittori le collocarono ne’ loro scritti. In secondo luogo egli scrivendo con quella sprezzatura e famigliarità che di sopra accennammo, e non avendo forse avuto il tempo di dar l’ultima mano alle