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presso i greci 143

in un unico sistema (cioè in quello che poi fu detto ticonico). La sua applicazione ai pianeti inferiori non solo avrebbe annullato questo vantaggio, ma avrebbe portato nel sistema quell’eterogeneità, che appunto si voleva sfuggire1.

Noi pensiamo dunque che Adrasto, il quale sembra che seri vesso la sua Astronomia come parte di un Commentario al Timeo di Platone2, abbia esposte le cose in un modo generico, e non esatto fino agli ultimi particolari. Costretto dal suo scopo ad evitare (come egli stesso dice nel passo più sopra riferito) troppo lunghe dichiarazioni, non potè o non volle distinguere accuratamente i vari casi che si potevano presentare nell’applicazione degli eccentri mobili alla Luna, ai pianeti superiori ed ai pianeti inferiori; tanto più che gli eccentrici rappresentavano per lui soltanto una combinazione accidentale di movimenti (κατὰ συμβεβηκός), e non il vero piano della natura 3.


v. origine degli eccentri e degli epicicli.


27. Le precedenti notizie sull’ipotesi degli eccentri mobili ci permettono di seguirne l’esistenza per circa tre secoli, dai tempi di Apollonio di Perga fino a quelli di Adrasto Afrodisiense; esse ci danno inoltre il modo d’interpretare rettamente alcuni luoghi di antichi scrittori, che si riferiscono alla loro origino ed a quella degli epicicli.

Gemino, nel primo capitolo della sua Introduzione ai fenomeni, scrive: «Si assume in tutta l’astronomia come principio, elio il Sole e la Luna ed i cinque pianeti si muovano di muto circolare uniforme in senso contrario alla rivoluzione diurna del mondo. I Pitagorici, che per i primi intrapresero queste ricerche, supposero circolari e regolari i movimenti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti. Essi non amettevano in questi corpi divini ed eterni tale disordine, per.

  1. Mentre per i pianeti superiori la rivoluzione del centro dell’eccentrico intorno alla Terra è per tutti un anno, per gli inferiori dovrebbe essere diversa, e per ciascuno di essi uguale a ciò che noi chiamiamo rivoluzione siderea, periodo che per Mercurio e Venere era agli antichi ed anche ai moderni prima di Copernico) totalmente sconosciuto.
  2. H. Martin, introduzione alla sua edizione di Teone Smirneo, p. 76.
  3. Vedi Theonis Smyrnei, Astronomia, ed. Martin, p. 210, e le spiegazioni di Martin, p. 368