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374 | studi greco-indiani |
decumanus degli agrimensori romani?[1] La regola dei Çulvasûtras per tracciar questa linea con osservazioni astronomiche non è stata ancora pubblicata da Thibaut. All’incontro si trova un procedimento per tale scopo nel Surya-Siddhânta[2], e questo è identico a quello trasmessoci da Vitruvio[3], che consiste nell’osservazione di due ombre uguali dello stesso gnomone in un medesimo giorno, prima e dopo del mezzodi.
Partendo dal prâcî, si traccia ora una perpendicolare coll’aiuto di una fune. La lunghezza del prâcî,
Fig. 6.
ossia la misura est-ovest del santuario sia di 36 padas. Alle due estremità del medesimo si fissano nel terreno due piuoli[4]. A questi si raccomandano le estremità di una corda lunga 54 padas, e portante un nodo alla distanza di 15 padas da una delle sue estremità. Preso in mano il nodo e tesa la corda, si forma un angolo retto presso quella estremità del prâcî. La verità di questo risultato è evidente; infatti la lunghezza del prâcî, cioè 36 e le due parti della corda 15 e 39 formano un triangolo rettangolo, de’ cui lati le proporzioni ridotte in minimi numeri sono 13, 12 e 5.
Questo metodo di tendere una corda per costruire un angolo retto si incontra anche altrove. Di funi tese infatti si vale Erone (§ 25 della sua Diottrica)[5] per ristabilire coll’aiuto del piano topografico i termini di una possessione, perduti ad eccezione di due o di tre. Il tendere funi era pure l’occupazione principale degli Arpedonapti (letteralmente tenditori di funi)[6],
- ↑ Agrimensoren, p. 66.
- ↑ Surya-Siddhânta, p. 239.
- ↑ Agrimensoren, p 67.
- ↑ Cfr. anche A. Weber, Indische Studien X, 364 e XIII, 233 e segg.
- ↑ Agrimensoren, p. 25.
- ↑ Le strane interpretazioni affibbiate a questa disgraziata parola ἀρπεδονάπται possono leggersi nel Thesaurus Graecae linguae, ed. Dindorf (Paris, 1851-56). Tomo I, 2, p. 2032.