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ogni sua utilità, essa non deve perciò meno la sua origine, il suo sviluppo e la sua civiltà attuale.

Ma se condannata ad una definitiva scomparsa sembra così la religione in quanto organo e fenomeno sociale, altrettanto certo non può dirsi in quanto manifestazione psichica e fatto individuale. Il proiettamento del proprio finalismo anche al di fuori di noi stessi in tutto quanto l’universo, ultimo elaborato residuo filosofico-metafisico del rozzo presupposto animistico dell’uomo primitivo, l’aspirazione al trionfo del bene sul male, il bisogno, ancora più in genere, di credere che quanto per noi ha valore, se pure al presente non è, si conserva tuttavia, a traverso tutte le peripezie del mondo reale, come in potenza, per attuarsi in seguito, unitamente alle più dolci, intime ed ineffabili consolazioni, che solo può dare l’illusione creata dall’ardente desiderio, sono e saranno sempre queste le fonti perenni di religiosità per tutte le nature più o meno portate al misticismo1.

Questa mistica élite potrà così mantenere accesa nel proprio seno e tramandarsi di generazione in generazione la sacra face religiosa lontano nei millenni futuri forse quanto durerà la vita umana stessa.

Milano.
  1. Cfr. Luigi Valli: Il fondamento psicologico della religione, Roma, Loescher, 1904; in ispecie Cap. VIII: L’essenza della religione; Harald Höffding: Religionsphilosophie, Leipzig, Reisland, 1901, Cap. III: Psychologische Religionsphilosophie, in ispecie sezione D: Der Satz von der Erhaltung des Wertes; Stuart Mill: Op. cit., secondo saggio: Utility of Religion, 120.