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neppure a risalire un piano inclinato, se non nell’oscurità completa.1

È un vero peccato che, mentre si son trovati animali con una o due coppie di canali semicircolari, non se ne conoscano di quelli con quattro coppie. Sarebbe così curioso vedere com’essi manifesterebbero la loro concezione quadrimensionale dello spazio e, sopratutto, se e come potrebbero sparire da una stanza completamente chiusa!

Nonostante ciò, io non mi sento d’escludere che i canali semicircolari adempiano ad una funzione essenziale e caratteristica nella genesi del concetto di spazio. Mi pare che una critica di questo genere non possa tentarsi seriamente fuori del campo sperimentale. Ma non so neppur consentire nell’uso che il Cyon fa della sua idea, per sciogliere troppi nodi gordiani, filosofici e matematici.

Quand’egli, dopo aver definito la retta come «la percezione intuitiva d’una sensazione di direzione» (che ha la sua sede nei canali semicircolari), afferma che «la direzione come tale non ha limiti» e ne deduce l’assioma dell’infinità della retta; quando scrive che «basta fissare un istante la nostra attenzione su due direzioni di qualità diversa, per avere la certezza (?!) ch’esse non posson più incontrarsi», non dà affatto le ragioni psico-fisiologiche di queste affermazioni; un kantiano rileverebbe trionfalmente ch’egli invece le butta là a priori.2

Nè si accorge che in tal modo pone nel suo discorso i germi della conclusione cui mira: che cioè i nostri sensi non potranno mai rivelarci uno spazio diverso dall’euclideo, perchè la nostra stessa struttura fisiologica è, per così dire, euclidea.

Nè sembra facile documentare l’altra affermazione che Kant parteggiò lungamente per gli empiristi, finchè si convinse che le percezioni dovute ai nostri cinque vecchi sensi, non potevano spiegare da sole la nozione delle tre dimensioni, e che, allora soltanto, imaginò la dottrina dell’a priori!3

  1. Non si può tuttavia tacere che le osservazioni di Rawitz e Cyon sono state contraddette dal punto di vista fisiologico e anatomico da Panse, Alexander e Kreidl.
  2. Revue philosophique; F. Alcan, Paris, 1901, n. 7, p. 20. Lo stesso articolo trovasi riprodotto con aggiunte nel Cap. III dell’opera ora citata.
  3. Revue philosophique, 1902, n. 1, p. 87.