Pagina:Sella - Plico del fotografo.djvu/61

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note. 39


Del lavamento. Modo di procedervi. Egli basta di avere per ciò un apparato assai semplice, composto di una tavola di quattro piedi di lunghezza e più larga che la lamina. Questa tavola, alla sua superficie e nel senso della sua lunghezza, riceve due guide rette rilevate di due pollici. Essa viene fissata ad un supporto dalla sua estremità superiore col mezzo di cardini che permettono di inclinarla a piacimento per dare all’acqua che si versa il grado di celerità necessario. L’estremità inferiore della tavola mette capo in un vaso destinato a ricevere il liquido che scola.

Si pone la lamina in questa tavola inclinata, la si impedisce di scivolare fermandola contro due piccoli ramponi che non debbono oltrepassare lo spessore della lamina. Bisogna aver cura in questa stagione qui, di servirsi di acqua tiepida. Non la si versa mica sulla lamina, ma al dissopra, affinchè arrivandovi essa faccia velo e levi le ultime porzioni di olio aderenti alla vernice.

Egli è allora che l’impronta si trova compiutamente districata e dappertutto di una grande nitidezza, se l’operazione fu bene eseguita e soprattutto se si ha potuto disporre di una camera oscura perfezionata.

Applicazione dei procedimenti eliografici. La vernice impiegata potendo indifferentemente applicarsi su pietra, su metallo e su vetro, senza nulla cambiare alla manipolazione, io non mi arresterò che al modo di applicazione su argento e su vetro, facendo tuttavia osservare, in quanto all’incisione su rame, che si può senza inconveniente aggiungere alla composizione della vernice una piccola quantità di cera disciolta nell’olio essenziale di lavanda.

Finora l’argento laminato sul rame mi pare essere ciò che vi ha di meglio per la riproduzione delle immagini per causa della sua bianchezza e del suo splendore. Una cosa certa è questa, che dopo del lavamento, purchè l’impronta sia ben secca, il risultato ottenuto è di già soddisfacente. Egli sarebbe però da desiderare che si potesse, annerendo la lamina, ottenere tutte le gradazioni di tinte dal nero al bianco.

Io mi sono dunque occupato di quest’oggetto, servendomi dapprima del solfuro di potassio liquido, ma esso attacca la vernice quando è concentrato, e se si dilunga con acqua, esso non fa che arrossare il metallo. Questo doppio inconveniente mi costrinse di rinunciarvi. La sostanza che io impiego ora con maggiore speranza di successo è il iodio, che ha la proprietà di vaporizzarsi alla temperatura dell’aria. Per annerire la lastra con questo procedimento non si tratta che di rizzarla contro una delle pareti interne di una scatola aperta e di porre alcuni grani di iodio in una piccola incanalatura praticata lungo il lato opposto nel fondo della scatola. Dopo la si ricopre con un vetro per giudicare dell’effetto che si opera meno celeremente, ma ben più sicuramente. Si può allora lavare la vernice con alcool e non vi rimane più alcuna traccia dell’impronta primitiva. Siccome questo procedimento è ancora affatto nuovo per me, io mi limiterò a questa semplice modificazione, attendendo che l’esperienza mi abbia posto a portata di raccogliere sopra di esso dei dettagli più circostanziati.