Vai al contenuto

Pagina:Seneca - Lettere, 1802.djvu/16

Da Wikisource.
xiv

non conosciuto ne’ secoli trascorsi, nè nel presente tampoco da quegli uomini, che non si scordaron d’essere nati italiani, e d’avere una lingua da tenerne il maggior conto per la sua ricchezza, che la mette fuori della necessità di accattare, ad adornarsene, gemme e vezzi dall’altre. Non bastano però a far fronte all’alluvion ridondante degli scritti franco-italo-irocchesi, che have soverchiato argini e sponde, quegli in numero meno spessi, in istile più rari, i quali, sendo parti felici di gente usa a dettare con buon sapore di lingua veramente italica, regger possono al martello d’una sana critica in fatto di ciò; mentre il neologismo, che da gran pezza trionfa tra noi pel soverchio favore già ad esso accordato, di fresco più che mai prese forza, e imbandalzì per la sopravvegnenza fatal delle guerre, distruggitrici come dell’altre cose, così della purezza delle respettive favelle de’ paesi.

Insipido omai a’ palati delle italiane menti divenuto è quel soave cibo oggidì, che porto ci viene nell’aureo suo Decamerone dal facondo Novellator Certaldese: insipido quello, che ne imbandisce il famoso Secretario Fiorentino nelle sue