Pagina:Seneca - Lettere, 1802.djvu/69

Da Wikisource.

43

consolare nella perdita d’un solo: se non n’avemo più, noi facemo maggior ingiuria a noi medesimi, di quella che ricevemo dalla Fortuna; perocchè quella n’ha tolto un solo, e noi non n’avemo acquistato alcuno. Oltra di questo non si può dir che abbia amato troppo anco un solo, colui che più d’un solo non ha potuto amare. Se uno spogliato, perduta quella veste che solamente avea, vuol piuttosto star a piangere la sua miseria, che provveder da poter fuggire il freddo, e da coprirsi il dosso; non lo giudicherai stoltissimo? Quello, che tu amavi, hai perduto: cerca ora chi debbi amare. È molto meglio acquistarsi un amico, che piangerlo. Son certo che questo, che son per dire, è volgatissimo, non dimeno poichè è anco detto d’uomini, non lo voglio lassar indietro; e questo è che col tempo si trova fine al dolore, ancorchè altri non vi pensi. Vergognosissimo rimedio del dolore è in un uomo prudente, la stanchezza d’esso dolore. Io voglio che tu lassi l’affanno, piuttosto ch’egli ti lasse; e che tu resti quanto più presto puoi di far quello, che quando ben volessi, non potresti far lungamente. I nostri maggiori ordinorno alle femmine un anno a piangere, non perchè piangessero tanto tempo, ma perchè non potessero piangere più tempo di quello. Gli uomini non han tempo ordinato dalla legge, perchè in nessun tempo è onesto che pianghino. Ma qual donnicciuola mi troverai di quelle, che appena si son potute ritirar dal Rogo, et appena si son levate di sopra al cadavero, alla quale sian durate le lagrime un mese in-