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il demonio muto 237

cese l’esca e un lumino, il quale rischiarava assai male la miserabile stanza.

Un po’ di strame in un angolo, una panca, una ciotola; il tetto nascosto dai ragnateli; il pavimento di mota lubrica; i muri di sassi tutti sconnessi e cadenti.

La strega, gettandosi per terra, levò le foglie muffite del suo giaciglio e cominciò a raschiare con le unghie il terreno. Dopo un quarto d’ora mi fece segno di accostarmele, e vidi il coperchio di una cassa; aiutai la vecchia a levarlo, ed apparve la famosa chitarra con le sue corde spezzate. Alla luce del lumino fumoso le perle sembravano scintillette scialbe e l’argento del piccolo Apollo brillava appena. La vecchia mi porse lo strumento con un sorriso che le contorceva la bocca, e disse tra sè:

— Morirò più quieta. —

Salutai la povera donna, ed uscii dal casolare, dove il tanfo cominciava a nausearmi. Solo, nelle tenebre più nere, con la chitarra sotto il braccio e senza rammentarmi il cammino, puoi pensare, nipote mio, se mi sentissi lieto. Mi guidarono le punte dei grossi sassi della via, martoriandomi i piedi. Dio volendo, a mezzanotte bussai alla porta dell’Albergo, dove tutti dormivano; e, andato a letto, sognai tutta notte lemuri, fantasmi, diavoli, megere e streghe.

Sei mesi dopo tornai a Bagolino per le mie caccie, e volli andare a salutar la mia vec-