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il demonio muto 241

letta dell’Asilo ha recitato lesta il suo discorsino; i preti della Parrocchia hanno presentato al nuovo pastore, con una lunga orazione latina, le chiavi della chiesa, portate sopra un cuscino di seta bianca a frangie ed a nappe d’oro. Ed è cominciata la processione: stendardi rossi con la Madonna dipinta in mezzo, banderuole, croci, torchi, baldacchini; fanciulle inghirlandate di fiori e tutte vestite di bianco, le quali portavano in mano con gran compunzione quale un Agnello di carta, quale un Bambino Gesù in fasce, quale una Vergine incoronata; ragazzi con mitrie o con turbanti, e dietro una coda interminabile di donne e d’uomini, la quale, vista un poco dall’alto, sembrava tutta d’un pezzo, e pareva che così lunga lunga si muovesse flessuosamente secondo l’avvallarsi, il girare o il rialzarsi della strada.

A stare accanto alla chiesa e appartati, come abbiamo fatto la mia buona Menica ed io, che siamo troppo vecchi per cacciarci nella folla, si sentiva l’organo suonare un’allegra marcia con tutti i pedali e campanelli e tamburi e piatti, poi le campane suonavano sul nostro capo, poi scoppiavano i mortaletti, che era un frastuono da diventare sordi; ma quando per caso, in certi momenti, tutti questi romori cessavano, s’udiva, già lontano, il salmeggiare basso dei sacerdoti della processione e l’armonia vaga, lunga, angelica della risposta delle donne.