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242 il demonio muto

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La vecchiaia è orrenda. Non ci sono lagrime negli occhi, non ci sono singhiozzi nel petto. La disperazione non si espande nella pietà degli altri, non si getta al di fuori con le parole, con i gesti, con le grida. Lo strazio è solitario. Si guarda al proprio dolore tranquilli, con le ciglia asciutte. È una calma bieca; è una freddezza spaventosa. Par di uscire da se stessi, e di aggirarsi nel nulla. Non si pensa, non si sente: si vive in una tomba.

La mia Menica è morta.

Dieci giorni sono, mercoledì sera, si sentiva un po’ stanca, e s’addormentò, come al solito, nella sua poltrona. Io leggevo. Tutt’a un tratto, il micio nero sbalza in terra e miagola come impaurito. Non gli bado. Alle dieci mi alzo, e mormoro nell’orecchio della Menica: — Mia buona, è l’ora di andare a letto. —

Non risponde. Le metto, così per giuoco, le due mani sul fronte. Lo sento di ghiaccio. Era morta.

Beata lei, che è morta com’era vissuta, nella sua santa placidezza!


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La casa è deserta, le montagne sono bianche di neve, e gela. A desinare, così solo, non mangio più. La sera non c’è nessuno che mi