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affusolate sulla mano calda dell’avvocatino, la quale brancolava verso di me, e m’avviai per uscire; ma, spinta da non so quale sentimento (certo un sentimento lodevole di compassione e di amicizia), voltandomi sulla soglia, bisbigliai, credo, questa parola: — Sperate. —

Ho bisogno di mortificare la vanità. Alla inquietudine, che rode la mia anima e che lascia quasi intatto il mio corpo, s’alterna la presunzione della mia bellezza: nè trovo altro conforto che questo solo, il mio specchio.

Troverò, spero, un altro conforto nello scrivere i miei casi di sedici anni addietro, ai quali vado ripensando con acre voluttà. Lo scartafaccio, chiuso a tre chiavi nel mio scrigno segreto, non potrà essere visto da occhio umano, e, appena compiuto, lo getterò sul fuoco, disperdendone le ceneri; ma il confidare alla carta i vecchi ricordi deve servire a mitigarne l’acerbità e la tenacia. Mi resta scolpita in mente ogni azione, ogni parola e sopra tutto ogni vergogna di quell’affannoso periodo del mio passato; e tento sempre e ricerco le lacerazioni della piaga non rimarginata; nè so bene se ciò ch’io provo sia, in fondo, dolore o solletico.

O che gioia, confidarsi unicamente a sè, liberi da scrupoli, da ipocrisie, da reticenze, rispettando nella memoria la verità anche in ciò che le stupide affettazioni sociali rendono più difficile a proclamare, le proprie bassezze! Ho