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senso 259

sotto alla quale vedevo ondeggiare vagamente le mie forme sino ai piedi sottili! e qualche pesce piccoletto e argentino mi guizzava intorno. Nuotavo quant’era lunga la Sirena; battevo l’acqua con le mani aperte, finchè la spuma candida coprisse il verde diafano; mi sdraiavo supina, lasciando che si bagnassero i miei lunghi capelli e tentando di rimanere per un istante a galla, immobile; spruzzavo la cameriera, che fuggiva lontana; ridevo come una bimba. Molte larghe aperture, appena sotto il livello dell’acqua, lasciavano entrare e passare l’acqua liberamente, e le pareti, mal commesse, permettevano, attraverso le fessure, di vedere, applicandovi l’occhio, qualche cosa al di fuori — il campanile rosso di San Giorgio, una linea di laguna, dove fuggivano leste le barche, una fetta sottile del Bagno militare, che galleggiava a piccola distanza della mia Sirena.

Sapevo che tutte le mattine, alle sette, il tenente Remigio vi andava a nuotare. In acqua era un eroe: saltava dall’alto a capo fitto, ripescava una bottiglia sul fondo, usciva dal recinto attraversando di sotto lo spazio dei camerini. Avrei dato non so che cosa per poterlo vedere, tanto m’attraevano l’agilità e la forza.

Una mattina, mentre guardavo sulla mia coscia destra una macchietta livida, forse una contusione leggiera, che deturpava un poco la bianchezza rosea della pelle, udii fuori un