Pagina:Sentenza Tribunale di Milano - Caso Mills.djvu/370

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cui all’articolo 2059 c.c. – da intendersi come “danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica” – hanno definitivamente contrastato la riduzione del danno non patrimoniale richiamato dall’articolo 2059 c.c. a mero danno morale soggettivo; hanno affermato che “la formula danno morale … descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio”, rappresenta cioè solo una delle possibili sintesi descrittive del danno non patrimoniale. E, in base a una lettura costituzionalizzata dell’articolo 2059 c.c., hanno riportato i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale a quelli in cui tale risarcibilità sia prevista per legge (dall’articolo 185 c.p. e da qualsiasi altra legge ordinaria) ed a quelli in cui risulti seriamente leso un diritto inviolabile riconosciuto dalla Costituzione.

Nel caso di specie, la sussistenza del reato di corruzione in atti giudiziari e la grave violazione di diritti inviolabili della Pubblica Amministrazione rappresentano, quindi, indiscutibili presupposti per il richiesto risarcimento.

In particolare, con riferimento al reato, si ricorda che la Corte di Cassazione ha già sottolineato l’infondatezza della tesi per cui non sarebbe configurabile un danno non patrimoniale dello Stato in presenza del reato di corruzione, in quanto la lesione al prestigio dell’amministrazione costituirebbe proprio l’oggetto della tutela penale, sicché troverebbe esaustiva reazione da parte dell’ordinamento nella sanzione penale. Tale conclusione, come ha avuto modo di osservare la corte di legittimità, trascura di considerare “il diverso ruolo che il prestigio dell’amministrazione gioca come bene/valore della Collettività, in quanto tale appunto presidiato dalla tutela penale, e come bene/oggetto di un diritto proprio dello Stato persona, la cui lesione, risolventesi in un effetto pregiudizievole ulteriore ed eventuale del reato, esige anche conformata riparazione sul piano civilistico…” (Cass. 7642/1991, cit.).

Inoltre, il fatto-reato attribuito all’imputato compromette quel diritto immateriale della personalità dell’ente, equivalente ad analoghi diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione alla persona fisica, che è individuato come diritto all’immagine, da intendersi in senso traslato, il cui fondamento va rintracciato nell’articolo 2 della Costituzione, che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo anche nelle formazioni sociali e che, perciò, gli stessi diritti, compatibili con l’assenza di fisicità, non può non riconoscere anche in capo alle formazioni sociali.

Ciò premesso, a parere di questo Tribunale, in considerazione del tipo di reato, può ritenersi dimostrato in via presuntiva che il prestigio e la considerazione pubblica dello Stato, nell’espressione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, portatore di un interesse costituzionalmente qualificato alla integrità della propria immagine, siano stati gravemente pregiudicati.