Pagina:Sequi - In val di Bisenzio, Pichi, Arezzo, 1883.djvu/20

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7½ circa dopo aver lasciata la vettura, ci portammo al caffè che trovavasi nella piazza ove è situato il Tribunale e l’ufficio di Posta. Lì attendemmo l’apertura dell’ufficio postale, ed anche quello del Tribunale, al quale volontariamente io voleva presentarmi. Direttomi alla posta per far dimanda di corrispondenza a me diretta, incontrai un individuo al pari di me vestito in borghese, che sentito declinare il mio nome all’ufficiale postale, dissemi, è forse lei l’ingegnere Sequi? ed io rispondendo affermativamente, mi vidi con mal grado afferrare per il petto da quel medesimo individuo, che dicendomi di essere un agente di polizia, intendeva arrestarmi. Allora nacque una colluttazione che fu una scena alquanto comica per me, e un poco tragica per il birro, al quale regalai diversi colpi di mano è di piede e così salimmo la scala esterna del Tribunale, cessando la lotta per dato e fatto di due militi, che presomi in mezzo mi condussero dentro il palazzo, in attesa dell’arrivo del delegato di pubblica sicurezza. Circa le ore 10 fui introdotto in una stanza ove erano due impiegati, che io aveva già conosciuti nel paese di S. Giovanni Valdarno, come aiuti cancellieri in quel Tribunale, i quali fidando nella benchè semplice relazione fatta tempo indietro con me, crederono potere strapparmi la confessione del fatto avvenuto; ma io fidandomi poco, anzi nulla di essi, raccontai esser vero avere io incontrati causalmente i due incogniti al mulino di Pispola la mattina del 26 Agosto, che essi senza declinare i loro nomi, mi chiesero del favore di porgli sulla strada retta che da Prato porta a Pistoia, ove diceano esser diretti, e che infatti io nella sera stessa, avendo necessità di andare a Prato, gli accompagnai e gli lasciai prima di entrare in città additandogli la via che dovean seguire. Dopo questo formale e sostanziale interrogatorio, mi si significò, che d’ordine superiore io doveva essere tradotto nelle carceri, e mi si portò in una piccola segreta situata in una certa torre di quel palazzo tribunalizio. Durante la mia prigionia mi furono ripetuti più volte gli interrogatorii con mezzi o parole più o meno suggestive, ma la storiella da me cantata la prima volta, non cambiò mai di metro, e dopo 76 giorni del mio arresto, mi fu significato che sebbene non fosse stato trovato luogo a procedere,