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86 all’erta, sentinella!

gli occhioni spalancati e ardenti di febbre, con le vivide labbra secche, un po’ tumefatte, socchiuse, da cui faticosamente fischiava il respiro; da cinque giorni la difterite gli stringeva la gola infiammata, cosparsa di bianche pustole maligne. Due volte al giorno e talvolta anche tre il dottor Caracciolo veniva a visitare il bambino, gli dava il valerianato di chinino per abbassare il grado acuto della febbre e procedeva alla causticazione, asportando le pellicole bianche, strappando delle grida dolorose al piccolo paziente. Pallida, muta, rigida, la madre assisteva all’operazione, e mordevasi le labbra per non gridare. Ogni tanto solamente, diceva, con un pietà immensa nella voce:

— Figlio mio, figlio mio, figlio mio!...

Ma un’ora dopo l’operazione, passato alquanto il bruciore della causticazione, il bimbo respirava più liberamente, la febbre discendeva di calore, egli sonnecchiava senza quel fischio del respiro, che straziava l’anima della madre; chiedeva da bere, chiedeva da mangiare con ansietà e gli davano dei forti brodi con uova battute, gli davano dei bicchieri di marsala, poichè la nuova terapia diceva che nelle alte infezioni del sangue, bisogna sostenere vivaci le forze del corpo. La madre si consolava, vedendolo mangiare con voracità, vedendolo bere con una sete divorante; e come si assopiva dopo, ella appoggiava il capo sull’origliere bianco dove dormiva anche il suo piccolino.