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aggruppati soldati e galeotti. Tutti erano in libertà quella sera: il capitano Gigli aveva fatto dispensare doppio rancio ai soldati, doppia razione ai galeotti: la consegna degli ufficiali e dei carcerieri era di sorvegliare, ma di lasciar che si divertissero galeotti e soldati. Appena la musica comparve sulla piazza, cominciarono i gridi allegri:

Marcia reale, marcia reale!

Inno, inno!

E per una ventina di volte la marcia reale così vibrante nei suoi primi squilli di tromba, che sembrano un richiamo di guerra, così crescente d’impeto nella ripresa, fu alternata con l’inno di Garibaldi, così inebbriante, così entusiasmante. Ogni volta che scoppiavano dalle trombe e dai tromboni la marcia reale o l’inno di Garibaldi, un immenso urlo usciva da quei petti che si diffondeva fragorosamente per tutta l’isola. Talvolta gridavano:

— Viva Vittorio!

Oppure con un rombo simile al tuono, era l’altro grido:

— Viva Garibaldi!

E il rombare ricominciava, con le centinaia di bocche che gridavano:

— Viva l’Italia!

Solo dopo un’ora di musica, per la stanchezza, la fanfara potè finir di suonare la marcia reale e l’inno di Garibaldi; e cominciò a suonare pezzi