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suo imbarazzo. Le cose si mettevano assai bene, quando la signora Cantelmi uscì fuori con questa domanda:

— E dove ci avete conosciute?

— Al teatro... — rispose egli, preso da una nuova esitanza.

— Al teatro? — riprese Sofia. — Noi vi andiamo molto di rado.

— Nell’aprile, al San Carlino — rispose egli senza aggiungere altro,

— Ora ricordo; quando Maria Desanctis ci mandò quel palco, mamma. Una cattiva serata quella....

— Perchè? — domandò Gaetano, senza osare di chiedere altro.

— Non amo quel teatro; vi si ride troppo e non vi s’impara nulla. Tutto quello che vi si dice è così triviale, così volgare, così basso, che mi ripugna; quelle risate della platea hanno qualche cosa di selvaggio. E quel Pulcinella, quel grossolano buffone, che carezza con la parola e con l’intenzione tutti gli istinti brutti del popolo, mi è insoffribile: io mi chieggo come un uomo si possa rassegnare a quel mestiere....

— Sei severa, Sofia, — interruppe la madre, mitigando l’osservazione con un mite sorriso.

— No, mamma. Forse che mancano vie oneste per guadagnarsi il pane? Meglio un lavoro manuale che quel mestiere ridicolo ed indecoroso. Ma infine che importa a noi tutto questo? Io non vi vidi quella sera.

— Non potevate vedermi, — rispose Gaetano pallidissimo.

— Andate spesso al teatro? — chiese la madre. — Non siete occupato alla sera?