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parte seconda | 139 |
canzonandola, vedendo che sporgeva ansiosamente la testa dallo sportello, a ogni stazione, dicendole le cose più favolose sui paesi che rasentavano, ridendo perchè lei non le credeva, offrendole da bere, offrendole di scendere per far due passi: ed ella si schermiva, come una bambina timida, che non vuole essere canzonata. Andrea passeggiava nel vagone, urtava contro la vôlta, fumava, mangiava, metteva il grosso capo fuori dello sportello, parlava con gl’impiegati, discuteva col venditore di giornali, sgomentava gli altri viaggiatori con la sua statura erculea. Era insomma esuberante di vita, allegro e chiassoso. Caterina non l’aveva mai visto così, specialmente dopo il periodo di malumore furioso per quel pranzo malaugurato. Oh! era stato un malumore formidabile e spaventoso: la casa tremava per le porte sbatacchiate, per le sedie respinte con violenza, per i pugni battuti sulle scrivanìe, per gli arrabbiati scoppi di voce che tônavano per tutto. Una tempesta di tre giorni che ella aveva vinto col silenzio, con la placidezza, con l’obbedienza. Poi Andrea si era calmato, ma n’era rimasto un po’ nervoso, con certi impeti di collera, sempre più radi. Infine, non era ridiventato l’antico Andrea, l’Andrea fanciullo, ridanciano e clamoroso, che scoppiava di salute e di gioia, tranne che nel viaggio. Caterina non diceva nulla; ma, dentro, il piccolo cuore le si allargava, dilatato dal piacere.
A Roma Andrea fu preso da un’attività fenomenale. Si svegliava presto, sorridendo alla faccina rosea che spiava il suo risveglio, e cominciava a chiamare tutti