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parte terza | 157 |
drags, per godersi il fresco dei grandi saloni reali. Poi vi sarebbe stato il presidente del Consiglio dei ministri, venuto per attestare il suo affetto di settentrionale a una provincia meridionale. Molti non lo conoscevano e piaceva loro di vederlo, in pompa magna, coll’uniforme di ministro. Qualcuno che aveva gusti più sentimentali, sapendolo oratore eloquente, veniva per sentire il discorso. Le signore venivano per la stessa ignota, misteriosa ragione per cui vanno dappertutto, specialmente dove si annoiano.
Sul portone di mezzo, il guardaportone maggiore, in uniforme di casa reale, col pennacchio sul cappello di carabiniere, e una mazza altissima col pomo d’oro, non salutava la folla. La gente che entrava passando dalla luce fulgida, dal calore secco, nella penombra bigia e nella frescura umidiccia dell’androne, era presa da un senso di benessere. I volti si facevano composti, e le voci si abbassavano, rispettose, quasi comprese dalla maestà di quel palazzo reale. La gente rallentava il passo, ammirando la costruzione solidissima, l’arco elegante della vôlta, la fortezza dei quadruplici pilastri, la euritmia dei quattro cortili angolari che partivano dal centro.
— Pare una costruzione romana — sentenziò il sindaco di Arpino, un grassone, panciuto sotto la fascia, con gli occhiali d’oro, dietro cui si ammiccava continuamente, rivolto al sindaco di Aversa, piccolo, rattrappito e segaligno, un notaio malizioso come una volpe.
Ai piedi del grande scalone scoppiavano contesta-