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zioni e proteste, ma a voce sommessa; i camerieri erano cortesi, ma inflessibili. Senza marsina non si saliva al salone d’inaugurazione. Molti erano venuti in soprabito, non sapendo. Un espositore alto, grosso, biondo, rosso nel volto come un mattone cotto, con un brillante scintillante al dito mignolo, era venuto in giacca, addirittura.

— Io ho esposto un toro, due vacche, due montoni, dodici galline: voglio entrare — ripeteva. — Del resto ho mia moglie qui: debbo accompagnarla.

— Senza marsina non si entra — replicavano i camerieri.

— Io posso stare sola, Mimi — mormorò la moglie, una grossa provinciale, in lutto, ma con uno strascico immenso, un cappello piumato, e brillanti splendidi alle orecchie.

— Sali tu, Rosalia. Io me ne vado a guardare le galline. Mi troverai nel parco quando le chiacchiere in marsina saranno finite.

Così i soprabiti si sperdevano nel parco, pei cortili, mentre tutte le signore e tutti gli uomini in marsina salivano lentamente la scalea maestosa, ampia, a scalini alti due dita, tutta di marmi lattiginosi, con venature color di legno. Le signore sospiravano di soddisfazione, lasciando frusciare gli strascichi sul marmo, deliziandosi di quella ascensione molle, di quell’assurgere nella magnificenza regale, pel piacere del silenzio, ove il fruscio della seta si spandeva voluttuosamente. I maschi in marsina si affollavano, beati, trionfanti, celando i sorrisi di estasi dietro la placca schiacciata dei gibus.