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bianco agitarsi sul balcone: era Lucia, ritta, bella, elegante, che li salutava, che li aspettava. Qualche volta, più indietro, dietro la spalla di Lucia, si vedeva Caterina che sorrideva: non si avanzava, perchè temeva le maldicenze dei vicini che trovavano ridicole codeste espansioni fra marito e moglie. Allora Andrea gridava hip, hip, a Pulcinella, il cavallino ardente che faceva la viottola, in salita, di gran galoppo: sotto il balcone saluto rapidissimo, e nel cortile una voltata magistrale, un’entrata trionfale. Per lo più Lucia scendeva nelle scale a incontrarli, a chiedere ad Alberto come si sentisse; dava la mano ad Andrea congratulandosi del suo valore di auriga. Caterina non era lì, occupata agli ultimi ordini del pranzo, poichè sapeva che Andrea non voleva mai aspettare.

Una delle ragioni per cui Andrea aveva desiderato che l’Esposizione si chiudesse, era la libertà di poter andare a caccia. Sua moglie lo sapeva, ella che l’altro anno era rimasta cinque o sei volte, sola, ad aspettarlo per giornate intiere, molto lunghe e molto noiose, occupata a cucire, pranzando sola, dormendo sola, presa da una malinconia insolita nel suo temperamento equilibrato. Ora, quest’anno, temeva che suo marito se ne andasse per troppo tempo e troppo spesso, il che poteva sembrare una grave scortesia agli amici. Non gliene parlava, ma da un momento all’altro le pareva di dover ascoltare: domani parto. Egli invece non diceva nulla: tanto che una sera Alberto gli domandò, sbadigliando:

— E a caccia, Andrea, non ci vai?