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un’idea strana e sfrontata gli passava pel capo, di dire a Lucia, ad alta voce: — Vi ho scritto una cosa sopra una carta. Ma dovete leggerla voi sola. — Chi sa, forse Alberto e Caterina non avrebbero capito nulla e l’atto audace poteva riuscire. Ma se avessero chiesto, scherzando, di vedere? Tutto sarebbe stato perduto, allora. La paura per Lucia lo vinse: finì per ricacciare la pallottolina di carta nel fondo del taschino.

In quanto a Lucia, essa aveva una collera concentrata e nervosa, che le intorbidiva gli occhi — e le affilava il naso, come se una mano tirasse le linee della sua faccia. Si muoveva disordinatamente, andando di qua e di là, toccando gli oggetti, distrattamente, raggiustandosi il nodo della cravatta, disfacendolo, rialzandosi le trecce sul collo, guardando il lavoro di Caterina, pigliando la sigaretta di Alberto e aspirandone due boccate, riempiendo la stanza di movimento, di chiacchierìo, di rumore. Non era possibile scambiarsi i biglietti. Lucia mise il suo nel fazzoletto e posò il fazzoletto sul divano: ma per arrivare al divano, Andrea doveva passare sul corpo di Alberto, che s’interponeva. Dopo cinque minuti Lucia riprese il fazzoletto portandolo alle labbra, come se lo mordesse. Poi corsero un vero pericolo.

Andrea aprì un volume di Balzac che era sopra una mensola e vi pose il biglietto, riponendo il libro. Dopo un poco:

— Datemi quel libro, Andrea.

— Ma che! — esclamò Alberto — vuoi leggere adesso? Si va a pranzo, sai.

— Veggo solo una pagina.