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di sassi e ribaltiamo e moriamo — disse Andrea, preso dal furore.

Ella sorrise stranamente, ferocemente e con dolcezza gli disse:

— Ti amo. Sei pazzo e sei fanciullo. Mi piaci.

Andrea tirò le redini al cavallo in un moto istintivo; il galoppo fu rallentato.

— O Lucia, tu sei una strega.

— È vero. Bada che io ti ho dato un filtro. Non risanerai mai più: io sarò la tua malattia, la tua febbre, il tuo malore inguaribile.

— Oh no: sii la mia salute, sii la mia forza, sii la mia freschezza.

— Il fuoco è migliore della neve, il tormento è più squisito della gioia, il morbo è più poetico della salute — disse Lucia con voce squillante, rizzandosi accanto a lui, l’occhio lampeggiante, dominandolo.

Andrea abbassò il capo, soggiogato.


Ritornavano. A Santamaria i due equipaggi si erano arrestati, la victoria aveva raggiunto il carrozzino. Avevano chiacchierato un poco, da una carrozza all’altra. Alberto diceva che stava benissimo, che si era lungamente fatto spiegare dalla signora Caterina come si fa lo sciroppo di more, che è eccellente per i bronchi deboli: in quanto a lui, le aveva narrato un suo viaggio a Parigi. Caterina approvava col capo, ella non si annoiava mai. Poi erano ripartiti, il carrozzino alla testa, la carrozza dietro. Calava il sole.

— O Dio, ce ne andiamo — si lagnava Lucia, ma-