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quel torpore. Matteo rientrò, portando un foglietto di carta velina, piegato sino a divenire microscopico.

— Siccome nè io nè Carmela sappiamo leggere, ci poteva essere scritta la sorte vostra, che non ne sapremmo niente.

Ella aprì il foglio e lo lesse. Niente apparve sul suo volto. Lo ripose in tasca.

— È un conto di certa roba, che io ho dimenticato. Potete andare a letto, Matteo.

— Non vi serve altro?

— Niente altro.

— Non abbiate paura di nulla, signorina. Io sto abbasso: il campanello arriva nella stanza mia. Se vi serve qualche cosa, chiamate.

— Vi chiamerò, ma non mi servirà niente.

— Domani mattina, a che ora il caffè? Carmela lo sa fare, il caffè.

— Alle nove. Io partirò col treno delle dodici.

— La carrozzella quindi alle undici abbasso al portone.

— Sì.

— Vi serve niente altro, signorina?

— No.

— Volete scrivere, forse?

— Io non ho da scrivere a nessuno.

— Io me ne vado a cena, due foglie d’insalata e un pezzo di formaggio e poi a letto; ma sempre pronto ai servizi di vostra eccellenza. Per caso, vorreste far riscaldare il letto?

— No.