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124 per monaca


alla porticina: quattro monache con le candele accese erano venute a circondarla. Le avevano data una lunga pergamena, scritta in latino: ella la leggeva lentamente, lentamente, ma senza niun tremito nella voce, senza emozione, una voce che aveva già la monotonìa delle voci monacali. Era la lunga formula del giuramento claustrale, che ella pronunziava al lume delle quattro torcie: le parole latine, gravi, sgomentavano l’anima di tutte quelle donne oranti: gli uomini stessi non si potevano togliere da quella emozione, un silenzio profondo regnava in quella grande chiesa. Alla fine Eva si fermò, e in italiano disse i quattro voti: castità, povertà, obbedienza e perpetua clausura. Tese la mano, giurò con voce tranquilla: prese la penna che le porgevano, firmò la pergamena, dopo lei firmarono la badessa e il cardinale. Irrefrenabilmente Anna Doria piangeva, con un piccolo singhiozzo secco e rauco.

Poi la funzione divenne più lugubre ancora. In mezzo al coro, per terra, era disteso un tappeto; le monache vi condussero Eva, la fecero distendere supina, come persona morta, le incrociarono le mani sul petto, la coprirono con una coltre di velluto nero, gallonata d’argento, su cui erano il cranio e le ossa in croce, le insegne della morte. Attorno, ai quattro lati come intorno al cadavere, ardevano quattro grossi ceri: e subito la campana di Santa Chiara si mise a suonare a morto. Le monache salmodiavano il De profundis. Le due Sannicandro, spaventate, piangevano strette l’una all’altra, pensando che realmente Eva fosse morta: Maria Gullì-Sannicandro si sentiva bagnare gli occhi di lagrime, a quei funerali di persona viva. Eva,