Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/188

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184 nella lava


zanti fra spasimi orribili: la campanella che è alla porta dell’ospedale dei Pellegrini, l’ospedale dei feriti, non fermava mai, in quel pomeriggio, annunciando sempre nuove sventure.

Alla sera tutta Napoli si riversò per le vie, si aggruppò sulle terrazze, sui balconi, sulle vie alte, donde il vulcano poteva essere visto. Tre grandi lave, di dimensioni mai viste, si riversavano dalla bocca del cratere: una d’esse cadeva sul versante opposto, minacciando il villaggio d’Ottaiano, e se ne vedeva il larghissimo sviluppo alle spalle del monte: essa illuminava lo sfondo del cielo. La seconda, in linea quasi orizzontale, discendeva verso il mare, tagliando il Vesuvio in tutta la sua larghezza, prendendo terreno a vista d’occhio. La terza amplissima, maestosa, si svolgeva magnificamente per la china del monte, si allargava nell’Atrio del Cavallo, discendeva come un fiume di fuoco; minacciava Resina, Portici, Napoli. La nuvola bianca s’era diradata completamente; il purissimo cielo stellato di quella sera di primavera era rosso, pel riflesso, sino allo zenit; il quietissimo mar Tirreno, dai due golfi di Castellamare e di Napoli, era rosso sino al forte Ovo. Tre incendi: la montagna, il mare, il cielo; e insieme una pace profonda delle cose, non un alito di vento, non un rumore di onde; anzi il mare era pieno di barche, immobili nel riflesso incandescente. Soltanto le viscere della terra, commosse, tremavano, non restavano mai di tremare.

Alla Marina, sul molo di San Vincenzo, che i napoletani chiamano la banchina, fra la folla, stavano le sorelle Sanges, estatiche, contemplando lo spettacolo